Non sapevo di essere un populista: Calenda è in pieno delirio
- redazione volta.pagina
- 4 apr
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 12 apr

Salvador Dalì realizzava le sue opere secondo quello che lui stesso definiva metodo paranoico critico. L’artista, raccontava di come egli fosse in grado di osservare l’opera surrealista formarsi praticamente da sola sulla tela bianca attraverso una visione, ovvero la razionalizzazione di un delirio.
Ecco, probabilmente Calenda è in qualche modo sulla stessa linea di sangue del pittore spagnolo, sebbene il delirio a cui abbiamo assistito al congresso nazionale di Azione, di artistico abbia solo l’incapacità, da parte di Supercarlo, di leggere la storia politica del nostro Paese.
Solitamente, i politici italiani della seconda repubblica iniziano la loro parentesi surrealista una volta bucato il 30%. Il venditore di cocco lo sa molto bene, così come anche il nostro caro delegato dell’Unione Europea per il Golfo Persico. Se, invece, malauguratamente si giunge al 40esimo punto percentuale, suonino le trombe, si alzino gli stendardi: è giunto il momento di cambiare la Costituzione! Tanto al massimo si smette di ffa’ ppolitiha.
Ora, Giorgia per adesso è vigile e lucida: il 30 è lontano e la guerra è alle “porte” (di casa Von Der Leyen), con il Matteone nazionale che, lucido sì o lucido no, risale la china e sogna la doppia cifra, mentre nonno Tajani zitto zitto fa campagna acquisti e con un colpo d’altri tempi piazza un bel +1 alla Camera. Ergo attenzione massima in cdm, o si fa la fine del solito PD, che con una straordinaria performance della Segretarissima, rimane in balìa dei franchi tiratori Europei e del mastino salernitano pronto a mordere.
A questo punto entra in gioco Lui, il supereroe di cui tutti non avevamo bisogno: Carlo Calenda.
Romano, 51 anni, in politica da quando ne aveva 35, figlioccio mai avuto di Luca Cordero di Montezemolo, viceministro e poi ministro per lo sviluppo economico prima sotto Letta, poi Renzi, poi Gentiloni (ma nel partito di Mario Monti, e in coalizione con Berlusconi). Insomma, il nuovo che avanza.
E il Senatore, eletto nel 2022 al plurinominale SICILIA P01, si presenta per l’appunto come l’innovatore della politica italiana: gira con la magliettina per tutti i podcast di YouTube (più fashion di lui solo la felpa rosa di Vannacci da Fedez), invade Instagram a suon di reel -anche se Azione dovrebbe licenziare il grafico che usa il giallo sul bianco-, e più in generale dimostra a tutti noi quanto sia il più intelligente, competente, esperto e pragmatico, ma anche simpatico, aperto, sincero e altruista politico dell’arco parlamentare. E le folle lo acclamano, i comitati per Calenda Premier si infoltiscono, le platee sono in visibilio! Poi, però, Supercarlo si sveglia tutto sudato e si ricorda che deve iniziare una nuova giornata: caffé corretto con la sambuca, brioche e si parte per una mattinata entusiasmante sulle ali del 2,7% (Ipsos).
E, tornando al delirio, pare che le recenti uscite del leader di Azione siano proprio frutto di un’allucinazione, altrimenti non si spiegherebbe cosa possa spingere un uomo, che abbia anche una magra contezza della realtà, ad avventurarsi in una campagna comunicativa che ha dell’incredibile, caratterizzata dall’assoluta sospensione del giudizio.
Per Calenda è ipse dixit; non esiste argomento di cui egli non sia detentore assoluto di certezze e verità. Il meglio di sé lo dà sull’Ucraina (in fondo lui c’è stato, ben due volte), ma ora si districa soprattutto nella trattazione di strategie militari e geopolitiche, oltre che impostazione dell’industria bellica, diritto europeo e ultima, ma non per importanza, propone anche di superare il bicameralismo perfetto. Insomma, Calenda non sa di non sapere.
Eppure il capolavoro è un altro. Supercarlo, sicuro dello sguardo della Premier, tira la bomba. Tutti ci stiamo chiedendo il futuro collocamento del suo partito. Tutti siamo attanagliati dall’amletico dubbio: a chi andranno questi 36 voti? Ebbene, “loro” non andranno nel campo largo.
First reaction: shock. Non ci andranno mai. E sapete perché? Perché l’unico modo per avere a che fare con il M5S è can-cel-lar-lo. Ed in questoci ricorda quell’affabile FUN-ZIO-NE-RAN-NO (spoiler, ancora non stanno funzionando).
Ora, che in Azione siano tutti un po’ su di giri ci sta, è il loro congresso -sembra fatto nello sgabuzzino di una scuola media, con le scale visibili dietro il tabellone, ma è pur sempre un congresso- ed è quindi il momento dell’identità politica del partito. Il punto però è un altro: Calenda sta diventando una contraddizione vivente, avvicinandosi pericolosissimamente al ministro dei Trasporti.
Anzitutto, giustifica la presenza di Meloni asserendo che “in democrazia si parla con tutti, anche con i nemici”, per poi rivendicare orgogliosamente il non aver invitato il M5S perché “c’è un discrimine: il supporto all’Ucraina”. Poi parte la sparata per la politica della competenza, della rapidità, della serietà. Contro i populismi, contro chi utilizza la comunicazione per il soddisfacimento di interessi elettorali, contro i “mr. 50.000 voti”, e poi spende buone parole rispetto a Forza Italia, partito in grado di affidarsi a personaggi del calibro di Fulvio Martusciello.
Si parla di efficientizzare l’apparato pubblico attraverso -cito testualmente- nazionalizzazioni di acqua pubblica ed energia. E poi fa comunella col nuovo partito Liberaldemocratico, e guarda Mario Monti con gli occhi a cuoricino.
Infine, difesa e Ucraina. Un encomio all’importanza della sovranità esterna, della libertà e dei popoli autonomi. Bene, siamo d’accordo. E la Palestina? E la Romania che è stata declassata ufficialmente a regime ibrido -e quindi non democratico-? Senza contare che poco prima egli stesso ha affermato che “se fossi al governo non avrei potuto esprimere i giudizi che esprimo sull’amministrazione Trump”. Scusami Carlo, ma dove sono la nostra sovranità e la nostra libertà? Boh, se le sarà dimenticate assieme alle numerose sillabe che, ogni tanto, perde nel corso del suo discorso.
Insomma, Calenda è un perfetto candidato per il nuovo show di Real Time “Non sapevo di essere un populista”. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, forte di argomentazioni che strizzano l’occhio ad un elettorato sì moderato ma non troppo, un elettorato che vuole sentir comunque parlare di termini come “nazione”, “nemici”, “pusillanime”, “militarizzazione”, “statalizzazione”, ma rimanendo sotto l’aura protettiva di chi è per il contenimento assoluto del debito pubblico, come per l’appunto i signori economisti che Supercarlo invita alle sue assemblee.
Calenda si rivolge ad una nicchia, una nicchia di utopisti. E il disegno che propone è quantomeno suggestivo, e potrebbe anche essere condivisibile, ma rimangono dei problemi che il Super Segretario ignora totalmente. Primo, siamo un paese la cui sovranità esterna è limitata e determinata da un esercito di occupazione, che oggi presenta oltre 150 presidi militari fissi e permanenti. Secondo, siamo un paese la cui Banca Centrale è stata declassata ad organo di controllo, quindi zero sovranità monetaria. E quindi si è subalterni all’organo di primo livello, nel nostro caso la BCE. Terzo, il diritto europeo è attualmente disfunzionale e parziale, e senza leggi non si va da nessuna parte. La grande operazione di riassetto dell’UE, pertanto, andrebbe fatta passare prima di tutto attraverso un’urgente e necessaria impostazione di un ordinamento comune a tutti gli stati membri, su tutti i livelli: dalle fonti subcostituzionali (che già lo sono) alle leggi ordinarie.
Paradossalmente, la deterrenza militare è invece l’unica cosa veramente abbiamo a terra. Calenda parla infatti come se la NATO fosse sull’orlo della dissoluzione, e come se vi fosse la possibilità di decidere la programmazione di una propria indipendenza militare europea. È una fallacia di proporzioni megalitiche, perché presuppone che le basi NATO in Italia e in Europa non siano allo stesso tempo considerate dagli USA come di propria disposizione. Anzi, mi sento di suggerire che a maggior ragione del fatto che l’amministrazione Trump critichi aspramente l’apparato del patto atlantico, sottolineando la differenza di investimenti statunitensi nella difesa comune rispetto agli “alleati” europei, sussista la chiave di lettura secondo cui gli insediamenti militari NATO in Europa, gli americani li ritengano assolutamente insediamenti USA, per l’appunto. E questo è un calcolo che il dott. Calenda, e non si comprende il perché, tralascia in ogni sua valutazione.
In conclusione, non possiamo non osservare la nuova politica di centro targata Azione con un gran sorriso. Si parla di politica di centro nel momento in cui il partito ha una collocazione arbitraria e variabile in base alla convenienza del momento, non è mistero. Bene -in realtà male, malissimo-. E l’aspirazione massima di un partito di centro della seconda repubblica è quello di diventare ago della bilancia della coalizione di riferimento sul medio termine, in modo da esercitare la propria influenza a mo’ di “senza di me il governo non lo fai, perché ruoto la maggioranza”. Il punto è che questo tipo di politica è plausibile se si ha una base elettorale molto, molto solida, Mastella docet.
Situazione antitetica con quella di Azione. Anzi, l’exploit del partito di Calenda la si deve proprio alla questione del riarmo, che verte su uno dei cosiddetti massimi sistemi della politica, perché trascende dalla sfera territoriale, e lambisce in maniera flebile l’interesse del privato cittadino.
Senza la politica sul territorio, senza amministratori, appare realmente complesso essere determinanti per gli equilibri del sistema parlamentare. Lo chiariscono perfettamente Forza Italia e M5S, due partiti che hanno percentuali non lontane, ma che differiscono proprio da questo punto di vista: FI è stracarica di amministratori, e ha un peso maggiore. Ed ha fatto un miracolo, diciamoci la verità: nessuno avrebbe mai scommesso una lira sulla leadership di Antonio Tajani.
Eppure, i voti di FI sono sicuri, sono bloccati dagli amministratori locali che riescono a garantire un apporto pressoché costante alle urne, come nella peggior scuola democristiana.
Azione, è vero, sale nei sondaggi, ma l’investimento comunicativo è enorme, il registro si inasprisce e a tutto questo si giunge facilmente al limite, alla saturazione del comparto comunicativo stesso. Ergo, Calenda oggi si sente profondamente forte del rispetto della Presidente Meloni, del Governo, galvanizzato dalla Piazza per l’Europa. Ma non si accorge che il suo 2,7%, seppure destinato a crescere nei prossimi tempi, è estremamente suscettibile all’opinione pubblica, a variazioni controllabili solo in minima parte dal suo partito. E senza il 3%, non solo non si cantano messe, ma non si prendono seggi.